Wünderkammer
di Valerio Crugnola
Ritagliare,
comporre, incollare. Era l'esercizio scolastico che più mi pesava, in
prima elementare, quando la maestra ci obbligava a cercare delle
immagini il cui nome doveva iniziare con una certa lettera
dell'alfabeto.
La mano maldestra e la mente impaziente mi erano così d'impaccio da
rendermi odioso quel gioco. Soccorrevole, all'insaputa di tutti, mia
madre mi veniva in aiuto: io sceglievo, e lei ritagliava, incollava e
disponeva la composizione per me. Ma quel trucco non mi dava
soddisfazione: senza manualità, la fantasia si inaridiva, e l'ordinato
rapporto tra figure e lettere aveva qualcosa di confuso, di vuoto,
persino di goffo. Mi limitavo a spalmare la coccoina, per via del suo
profumo. Non essendo partecipe del gioco, essendone anzi escluso in
partenza, quelle pagine di quaderno mi risultavano estranee, e la lode
della maestra non mi dava gioia.
Ripesco
questo ricordo casualmente, avendo ammirato la nuova ricerca di
Emanuela Silvestri: un'artista che ritaglia, compone, incolla, proprio
come voleva la mia poco simpatica maestra, ma che aggiunge a questa
abilità manuale qualcosa che, fino a questo «incontro», sapevo possibile
senza però poter immaginare come quel «qualcosa» fosse possibile.
Quel
qualcosa ha a che fare con una «creazione di mondi»: con quell'assoluto
irrealismo dell'arte che spesso è troppo coperto, dissimulato dai
riferimenti naturalistici o che altrimenti è lasciato troppo scoperto,
quasi spiattellato in faccia allo spettatore, dall'astrazione formale e
dall'esclusivo contenuto concettuale di un'opera.
Chi
crea mondi mediante le arti (inclusa la letteratura) offre a chi li
scopre uno stupore immediato: uno stato di spaesamento e di incanto. Lo
sguardo, la fantasia ne ricevono una piccola o grande eccitazione. La
mente, spesso soffocata dagli oneri della quotidianità e impoverita
dalla routine, ne ricava un senso di respiro, come ci accade in cima ad
un monte, in un'ampia radura che si apre in un bosco o spersi in un
punto indefinito di un deserto. Le arti creano mondi che hanno in sé e
che trasmettono fuori di sé questo senso del respiro.
I dipinti che, idealmente alloggiati ed esibiti in un solo spazio, formano tutti insieme la Wünderkammer
di Emanuela Silvestri, aprono a un mondo che appare più libero, o meno
subordinato, rispetto alle logiche convenzionali dell'immaginario.
L'immaginario non è mai invenzione pura: ha dentro e dietro di sé una
storia che lascia dei sedimenti (strutture, criteri ideativi, linguaggi
iconologici, forme descrittive, archetipi...). Le Wünderkammern del passato, croce e delizia di collezionisti tanto raffinati quanto maniacali, disponevano di questo surplus di libertà.
Il loro punto di forza era l'inatteso: mirabilia
mai prima osservate, o mai osservate così. La visione d'insieme
generava meraviglia per il carattere inconsueto e talora bizzarro
dell'ambiente, mentre la visione particolare di una vetrina o di un
singolo oggetto suscitava stupore, per la sorprendente particolarità del
contenuto e soprattutto degli accostamenti. Ogni cosa, nelle Wünderkammern,
era immoto: l'ordine, la raccolta e la descrizione puntuale fissavano
ciascun oggetto in una intemporalità metafisica, che il collezionista
aveva intenzionalmente e ostinatamente cercato. Il visitatore entrava in
uno spazio e in un tempo sospeso e lì, spaesato, galleggiava ad
ammirare. Le collezioni, soprattutto del passato, lasciavano al
visitatore anche un senso di gravità, sovraffollate come erano
dall'ansia di aggiungere e poi aggiungere ancora, dall'horror vacui,
dalla bulimia dell'ideatore. Dopo un po' la sazietà da eccesso
attenuava tanto la sorpresa dell'inatteso quanto il piacere dello
straniamento.
Bene
ha fatto Emanuela Silvestri ad evocare questa tradizione, sgravandola
però dall'appesantimento che le era connaturato. Le sue sono vere e
proprie composizioni e collezioni di mondi.
Composizione, dal latino cum-ponere,
significa porre insieme elementi eterogenei in modo che convivano in
una mutua relazione. La composizione media tra identità e differenza.
Una volta ritagliata e incollata sulla tela, una pipa di Magritte non
solo «non è una pipa», ma non è nemmeno più la pipa di Magritte, è
piuttosto una copia dell'imitazione magrittiana della pipa originaria.
Ma i nostri occhi non vanno troppo per il sottile: benché la
riproduzione sia stata decontestualizzata attraverso la sottrazione del
suo sfondo, l'osservatore decifra proprio «quella pipa lì», «quella di
Magritte». Ma, associata ad un ritratto rinascimentale ugualmente
decontestualizzato, la pipa appena riconosciuta come quella di Magritte,
diviene altro da sé: non più una copia riconoscibile e una semplice
«citazione» di un ormai scontato gusto postmoderno, bensì una pura
figurazione ricontestualizzata nella relazione con altre figurazioni, le
quali vengono abilmente a sovrapporsi ad un precedente dipinto
dell'autrice, coprendolo fin quasi a renderlo irriconoscibile se non ai
frequentatori più intimi della sua precedente ricerca.
L'insieme così composto lascia percepire una stupefacente e ironica collezione. Il termine, dal latino cum-legere,
evoca una molteplicità di significati. Ne evidenzio solo i due più
consonanti con l'intuizione e la tecnica di Emanuela Silvestri:
scegliere insieme gli oggetti della collezione, nel loro potenziale
combinarsi; consentire all'osservatore prima di cogliere olisticamente,
nel suo intero, la peculiare collezione, come avviene nella lettura,
attraverso la sintesi delle diverse componenti di una parola e dei
significati di un insieme di parole, e soltanto poi di
ricontestualizzare nella memoria iconologica, collettiva e personale, i
singoli elementi lì composti.
La Wünderkammer
che ne esce è dominata dal gioco e dall'ironia. Giochi associativi,
giochi anamorfici, giochi evocativi. Ironia nel sottrarre l'arte alla
sua aura dotta proprio mentre si tributa a quell'aura un insolito
rispetto. Ironia nei rimandi ambivalenti che la composizione genera.
Ironia nel citare e mescolare i reperti dei più ammirati maestri, in uno
spazio che appare più sferico che prospettico, quasi che ogni oggetto
ivi collocato fosse, in assenza di piani, in un punto inafferrabile e
sfuggente. Ironia nei confronti dello spirito postmoderno, del kitsch e del calligrafismo pop
che dominano il nostro tempo. Ironia anche nel citare se stessa, con
reperti propri. Gioco e ironia segnano così una presa di distanza, e
insieme testimoniano un affetto. Proprio come in quel Museo dell'Innocenza
realizzato (oltre che scritto) da Oran Pamuk, che di Emanuela è uno dei
grandi amori letterari, e qui è divenuto il più grande degli
ispiratori, anche se l'elemento autobiografico, spesso casuale, è qui
decisamente nascosto. Anzitutto, presumo, all'autrice, che sembra
lavorare ad ogni sua Wünderkammer non già in un normale studio pittorico, ma in una sua speciale e singolare Wünderzimmer, o meglio in un corridoio dei sogni, di cui lei sola possiede la chiave ma non la cifra.
Gioco, ironia e vagheggiamenti fantastici sono eleganti, mai rumorosi, anzi sottovoce e in punta di piedi.
Il
risultato è un'opera di immediata gradevolezza, che muove al sorriso,
alla lievità e, appunto, al respiro sprigionato da stupefacenti
cartoline inviateci da un mondo inesplorato, ma privo per noi di mappe e
di approdi se non quelli dei nostri occhi.
2 novembre 2014
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.