mercoledì 9 ottobre 2019

Nell’arte contemporanea la regina è l’Idea

Tratto dal NelFuturo.com

Si parla tanto di tecnica. Io parlerei di idee.
Fino ai primi anni del Novecento la tecnica era fondamentale. La tecnica era il “mestiere”. Quando però, passati i primi anni di quel secolo, ci troviamo in un museo, incollati davanti a un Manzoni a caso,  Merda d’artista, la tecnica va a farsi benedire e il pensiero rincorre l’idea della presa in giro. 
Oggi, quello che conta, nell’arte, come nel cinema piuttosto che nella pubblicità o nella moda, non è saper fare, avere la tecnica, l’importante è saper pensare, avere l’idea giusta prima degli altri e nel momento giusto. Esistono persone che tecnicamente sanno eseguire in modo ineguagliabile quello che altri pensano ma non sanno realizzare. Le idee, quando sono nuove e vitali, sono più scomode di un golfino di cachemere, ma sono anche quelle che fanno sì che una società non invecchi, ma perpetui una crescita rigogliosa.

Prendiamo, per esempio, il Taglio sulla tela di Lucio Fontana. Cos’è ? Un gesto della mano, una trovata bislacca e banale, o un capolavoro d’arte? Visti i risultati sicuramente un capolavoro. Perché l’opera d’arte non è solo meticolosità e ricerca della perfezione tecnica, ma è anche azione, follia, visione, gioco, scherzo, tutti elementi che come le azioni faticose e difficili, spesso noiose, fanno parte della vita. Bisogna uscire dallo stereotipo per cui l’arte è solo ciò che rappresenta fedelmente la realtà, o che comunque è accademica e perfetta. L’arte contemporanea deve recare con sé l’idea, quell’idea che diventa strumento e ci aiuta a riflettere sul nostro presente, e come stimolo a comprendere che solo l’eseguire bene e secondo i canoni del passato un’opera, non bastano ad accompagnarci ad una riflessione sul nostro futuro.

Siamo in una società che considera arte programmi televisivi che hanno come ospiti persone con un quoziente intellettivo inferiore a quello di una lumaca, foto che trasformano una coscia di pollo con contorno di patate in un capolavoro di alta cucina; come allora dire che il Taglio di Fontana non sia arte? L’arte fin dall’antichità, ci spinge a pensare, a meditare, sulla nostra contemporaneità e sulla nostra società, ed è facile rimanere un po’ perplessi davanti a quadri che non si riesce a decifrare. La reazione è quella di essere irritati. Bisogna andare oltre, immaginare, sognare. C’è un pittore, Robert Ryman, che dipinge tele con campiture solo bianche, il vuoto, il nulla. E’ arte che si basa sull’idea, non sulla tecnica. E’ questo il passo in più che dobbiamo fare. Nel passato era fondamentale la tecnica, nelle botteghe gli allievi seguivano e imitavano il maestro. Oggi questo non è più possibile, non si sarebbe più dei veri artisti se si facessero delle copie. Questo artista ha dipinto il vuoto, si potrebbe anche dipingere, per esempio un altro concetto astratto, la tristezza. Una volta questo era impensabile, nessuno l’ha mai dipinta. Ora lo si può fare. Potreste obiettare che un quadro tutto bianco non può essere un’opera d’arte. Certo, può sembrare così, mio figlio mi direbbe che sarebbe in grado di farlo anche lui. E qui si inciampa: ma a voi, è per caso venuto in mente di realizzarlo ? Avete mai pensato che quando non pensate a nulla e fissate il vuoto, in fondo, fissate uno spazio “bianco” ? Davanti alle sue tele ci si sente liberi di poter immaginare tutto quello che vogliamo, e il compito principale dell’arte dovrebbe essere quello di farci sentire liberi. Quindi concludo che non tutti siamo in grado di realizzare quello che a prima vista ci appare banale e senza significato. Ma l’arte con tutti i capolavori che ci regala oggi, ieri, e nel futuro, è presente proprio per ricordarci che a noi neppure è venuto in mente di realizzarla. Certo, la tela bianca di Ryman o il taglio di Fontana ci può irritare o sembrare una presa in giro, ma non è così. Vi faccio un esempio, immaginate di salire su di una corriera affollata con un posto libero, vuoto… bianco. Pensateci bene: quel bianco che sembrava banale e stupido diventa importante. Si è trascesa la realtà, ha provocato delle emozioni, ecco perché chi riesce in questo assurge all’Olimpo dei grandi artisti.

Un museo immaginato e personale

Tratto dal NelFuturo.com

Tempo fa lessi un romanzo di Orhan Pamuk, Il museo dell’ Innocenza. Rimasi incantata, e ancor più incantata dopo aver constatato che il Museo venne fondato veramente, ad Istambul.
Ci sono stata, e fu una rivelazione e una conferma allo stesso tempo. Uno spazio da esplorare con tutti i nostri sensi.
Ho cominciato così a fantasticare sulla casa, sulle nostre case come musei.
Luoghi dove non esistono cartelli con la scritta “Si prega di non toccare”. Ho pensato a tutti gli oggetti che possediamo, alcuni con valenza emotiva, altri storica, altri ancora affettiva. Legati ad un ricordo o a una storia che tramanda il dove, il chi, il quando.
Momenti che si possiedono e che mi piace trasformare in ricordi tridimensionali di emozioni che abbiamo vissuto, per poterli toccare ed essere a disposizione non solo nostra, ma anche di chi ci sta accanto e ci viene a trovare. Costruiremo così un ambiente che ameremo e sentiremo nostro, che condivideremo e che non sarà una copia di figure viste su riviste di arredamento o in anonimi negozi di arredamento.
In questo modo, si può dare ai nostri spazi la possibilità di evolvere nel divenire: la nostra casa vuole essere una linea del tempo che passa e che segue le tracce della vita, di chi abbiamo amato, degli amici che abbiamo conosciuto e dei luoghi che abbiamo visitato.
Alcuni ricordi sono nascosti nelle pieghe delle stoffe che tanto amo collezionare: ritagli, scampoli, pezze. Alcune conservate per la loro bellezza, altre perchè catturano un ricordo, altre ancora perchè le ho immortalate con i colori ad olio.
Un altro amore sono i tesori che il mare sa regalare: conchiglie, legni, ricci… mi ricordano momenti felici e risa di bambini, i miei.
La mamma mi chiama l’accumulatrice, sembra una parola dall’accezione negativa. E allora io preferisco usare quella di uccello giardiniere. E’ un uccello nativo dell’Australia, capace di fare cose incredibili per decorare il suo nido.
Come questo pennuto, anch’io mi fisso sugli oggetti e con determinazione do il via ad una ricerca, ad un traguardo a cui mirare, volteggiando nei mercatini di anticaglie.
Collezionare cose ci lega a momenti di felicità, ma anche di dolore.
Inesauribili collezioni e assortimenti di piccole preziose cose. A poco a poco ecco che creeremo un nostro museo immaginato e personale, di carte, fotografie, stoffe, argenti, ceramiche, disegni, nastri, bottoni, sassi, conchiglie, fiori seccati, matite, buste, cartoline, scatole di latta, perline e amuleti. Conserviamo un passato, che è essenziale per affrontare il futuro.
Un museo di piccole grandi cose che si amano e che abbiamo amato.

Realtà concreta e realtà astratta sono regolate dal codice segreto dei colori.

Tratto dal NelFuturo.com

Gustav Klimt – Casa di campagna sull'Attersee – 1914 - (particolare)
Diventiamo rossi dalla vergogna, siamo al verde, sbianchiamo dalla paura, neri di rabbia, dalla paura blu.
I colori influenzano profondamente i nostri atteggiamenti, il nostro ambiente e il nostro immaginario.
Hanno una storia che cambia a seconda dei secoli che attraversano. La religione, per prima, ha imposto la sua regola sull’uso simbolico dei colori, la scienza e la filosofia hanno dibattuto, la politica li usa.
Ma quanti sono i colori ? Il primo è il blu, cielo e mare, amato da tutti, segue il rosso, sangue e fuoco, poi il bianco, virginale e angelico.; il giallo, il verde che tradisce; infine il nero, austero e umile, elegante e arrogante. Seguono tutti gli altri cantori, mezze tinte, come il rosa, il marrone, il grigio, l’arancio…
Anticamente si raccontava ai bambini che ai piedi dell’arcobaleno era nascosto un tesoro. Io ci ho sempre creduto, lì, in quel magico punto si fondono i primari e i secondari, e con gli occhi che sanno vedere,  si colgono infinite sfumature e tonalità, frutto di alchemiche combinazioni, che non smettiamo mai di inventare.
I colori sono una categoria dello spirito, e insieme simboli. Prova ne è il fatto che vengono usati e abusati per comunicare, conservano segreti che non ci rivelano e che ci impongono. Dietro i sei colori di base (viola, blu, verde, giallo, arancio e rosso), un corteo infinito di nuance, che esistono perché le vediamo. A scuola ci hanno insegnato che i colori dell’arcobaleno sono sette, sette raggi colorati. In realtà sono sei, ma siccome al tempo di Newton le convenzioni sociali, religiose e scientifiche esigevano sistemi di sette o di dodici elementi, lui aggiunse l’indaco, in pratica un altro blu. Con il Romanticismo si sono inventati tanti altri termini per qualificare i colori, perché l’Amore, che tutto regge, ha avuto bisogno di incarnare in nuovi colori sentimenti, emozioni e simboli, che l’austerità dei sei colori di base e la religione  non avevano fino ad allora permesso.
Poi, piano piano, siamo diventati meno sensibili al colore. Come tutte le cose difficili da reperire era prezioso, ora la chimica lo ha banalizzato. Noi bambini eravamo incantati quando a Natale ricevevamo la scatola di latta con le classiche dodici matite colorate. I bambini oggi ricevono scatole da quaranta colori e sono molto meno curiosi e creativi di quanto lo fossimo noi con molto meno. Anche i pittori li banalizzano: usano i colori come escono dal tubetto, senza sperimentare. Più facile, meno impegnativo. Poco romantico, aggiungo io. Il culmine poi si raggiunge quando si usano i colori per fare test psicologici. Come dire che, se scelgo il nero, mi vedo qualificare un temperamento lugubre. Che desolazione !
Lo vediamo anche nell’urbanistica, l’uso di troppi colori, perché la filosofia deve essere sempre quella del tutto e troppo,  che alla fine, paradosso, uccidono il colore.  Si pensi a Piazza Cadorna a Milano. Un’orgia di tinte accese che aggrediscono, disorientano i poveri cittadini che  vi abitano o lavorano.
Insomma, i colori sono carichi di antichi simboli ai quali ci troviamo inconsciamente sottomessi. Potremmo provare a dimenticarci della loro valenza simbolica e imparare ad usarli con un po’ più di innocenza fanciullesca  e sensibilità . Come diceva G.Klimt il colore ci possiede, ma non lasciamoci tiranneggiare.
Ecco il mio studio

Tentativo di tessere la stoffa d’artista

Tratto dal NelFuturo.com

Mi è sempre piaciuta l’Arte. Da bambina passavo ore ad osservare le illustrazioni dei libri. I colori e i disegni mi portavano a creare nella mente, ancora ingenua ed infantile, mille esclamazioni, mille interiezioni, nessi di ombre e di luci, e creazioni che ancora non ero in grado di trasmettere alla mia mano. Stavo ore e ore, perché?  Quale strada o quale segreto andavo cercando? Lo scoprii diversi anni dopo, e quando scrivo diversi, intendo tanti.
La vita, me lo ha rivelato il momento giusto : nella sofferenza, nel tormento, nella insoddisfazione, nel bisogno di travalicare la quotidianità ed andare oltre. Parlo di una sofferenza non esibita, una sottile sofferenza, quel “Male di vivere che spesso ho incontrato”, crescendo.
Ero una ragazza che camminava in un mondo di colori e forme chiari e tangibili. Scoprii invece che, ad un tratto, tutto ciò che mi ruotava intorno stava diventando misterioso, qualcosa si nascondeva e io volevo portarlo alla luce. In un anno  capii e misi a fuoco che dovevo e desideravo diventare una pittrice.
E’ come se avessi avuto l’urgenza di un atto creativo che permettesse al mio cuore, ai miei sentimenti, alle mie emozioni, alle mie assenze, di poter metterlo in atto, per superare l’insoddisfazione che mi aveva relegato a guardare un mondo che vedevo insipido e piatto. Ho iniziato a dipingere sotto l’impulso spontaneo dei miei sentimenti e dell’attrazione che il Colore esercitava su di me. Dai miei lavori non mi sono mai aspettata altro che la soddisfazione che mi dava il fatto stesso di dipingere ed esprimere qullo che non avrei mai potuto esprimere in altro modo. Questa è il privilegio di noi artisti, poter celare o svelare il tormento che abbiamo dentro, spostarlo su di un prodigio, e lasciare che gli altri interpretino le nostre forme e i nostri colori come preferiscono, e noi spiarne  le reazioni: poter rimanere “attori” immobili e divertiti.
Col passare del tempo, tela dopo tela, sono riuscita a trovare una modalità espressiva personale, senza che nessun pregiudizio mi forzasse a farlo. I miei soggetti sono sempre stati le mie sensazioni e i miei stati d’animo, attratti da una bellezza che forse solo io vedo. Ho oggettivato tutto questo in tessuti, abiti, interni che accolgono, quanto di più sincero potessi fare per esprimere la mia spiccata femminilità.
Dipingo per me stessa, non riesco a fare diversamente. Sono gelosa delle mie creazioni.
I miei quadri sono ben dipinti, mai con negligenza, sempre con pazienza. La mia pittura porta in sé il messaggio del dolore o della tristezza, anche della gioia. Dipingere ha arricchito la mia vita e ha contribuito a sostenere la mia autostima, sempre lì lì per inciampare. Ho lasciato il mio lavoro, ero un’insegnante. Ho perso alcune cose della vita, comunque una vita buona. La pittura ha colmato il vuoto che a volte sentivo dentro e ha preso il posto di tutto ciò che non sono stata e avrei voluto essere

Il colore è la forma delle cose

Tratto dal NelFuturo.com
Il colore è la forma delle cose, il linguaggio della luce e delle tenebre. Hugo Von Hofmannsthal
I colori sono importanti. Veicolano codici, tabù, pregiudizi, possiedono significati nascosti che influenzano i nostri stati d’animo, i nostri comportamenti, il nostro linguaggio e il nostro immaginario. Non sono fermi nel tempo, la loro storia è movimentata, mutevole e lascia tracce persino nel nostro vocabolario quotidiano.
La religione, poi, ne ha assunto il controllo, come ha fatto con la vita privata. Anche la scienza ce li spiega, sorpassando la filosofia. E che dire della politica ? Tutto è governato da un codice che non è assoluto: sono loro, i colori, che ne detengono il segreto.
I colori sono lunatici, non si lasciano facilmente intrappolare in stereotipi. 
Ci sono i primari: il prediletto blu, l’orgoglioso rosso, il giallo che per lungo tempo è stato marchio di infamia. Poi ci sono i non-colori: il bianco virginale; il nero, austero ed elegante. Seguono i secondari: il viola, l’arancio ed il verde. Il grigio è appartato e sobrio. Le mezze tinte: rosa, albicocca, mora, lillà, che portano il nome di fiori e frutti.
Arriva il resto della servitù, nelle sue infinite sfumature: sabbia, avorio, polvere, fumo… I nostri gusti, le nostre avversioni, le nostre paure, le nostre fobie, i nostri desideri, i pensieri che non osiamo esprimere, ostentano un colore.  Viviamo in un mondo che è colorato, accessibile a tutti.
E’ un mondo molto più colorato di quello della società medioevale, dove il colore era riservato solo alle chiese, o alle feste legate alla liturgia religiosa. L’Europa, per esempio, è meno colorata degli altri continenti. E l’ambiente sociale ne influenza la scelta: in un quartiere popolare si vedranno molti colori, in un quartiere più agiato la palette dei colori sarà più sobria e riservata.
I colori sono carichi di codici antichi e di simboli, anche se oggi meno importanti che nel passato. Condizionano i nostri comportamenti e il nostro modo di pensare.  Cambiano e nel corso della storia assumono significati diversi.
Prendiamo per esempio il blu, la star dei colori.
Tutta la società occidentale dà più importanza al blu, cosa che non accade in Giappone, dove viene prediletto il rosso. Ma non è stato sempre così. Nell’antichità erano considerati colori veri solo il bianco, il rosso e il nero. Tranne nell’Egitto dei faraoni, dove era prezioso portafortuna per il passaggio nell’aldilà. Era molto difficile lavorarlo ed ottenerlo, per questo forse non ha avuto un ruolo importante. A Roma era il colore degli stranieri, barbari, quindi per una donna, avere gli occhi azzurri era una sventura, significava acquisire la nomea di donna dai facili costumi.
Insomma, ad eccezione dello zaffiro, la pietra preferita dalle genti della Bibbia, c’era poco spazio per il blu, anche nel Medioevo.
La chiesa cattolica lo ignora. Poi tutto cambia: siamo nel XII – XIII secolo. Cambiano le idee religiose, c’è un progresso tecnico nella fabbricazione dei colori, e all’improvviso il Dio cristiano si riappropria della luce, e quella luce diventa azzurra. I cieli, finalmente, non sono più neri, rossi, bianchi, o dorati, ma diventano azzurri.
Maria, la madre di Gesù, ne diventa la divulgatrice. Un colore fino ad allora considerato barbaro, diventa divino.
La società comincia a diversificarsi e così ecco la necessità di abilitare nuovi colori. Il rosso, il nero e il bianco non bastano più. Il colore, luce o materia? Si studierà, si dibatterà. Luce, quindi di origine divina; o materia, dunque vile e peccaminoso ? La prima asserzione prevale e l’intera società se ne approprierà: dalla Vergine al re di Francia e all’aristocrazia. Si studieranno e si produrranno blu magnifici. Durerà fino alla Riforma Protestante, che elencherà i colori degni e quelli indegni.  I quadri cattolici saranno coloratissimi (vedi Rubens), mentre quelli protestanti saranno sobri (vedi Rembrandt). 
Il blu si salverà, e manterrà il primato che ancora oggi conserva. Per concludere, il significato dei colori cambia con il tempo, ma molto lentamente. Tutti i colori, similmente al blu, hanno una loro storia e ci rivelano l’evoluzione della nostra mentalità. Questo del blu, è stato solo un esempio.
Viviamo immersi nel colore e i colori influiscono sulle nostre azioni e sugli stati emotivi. Sono una forma di energia che agisce su tutto il nostro essere, fisico, mentale, emozionale e spirituale. Ecco perché è importante che ognuno scelga accuratamente i colori con i quali si circonda. Ognuno è più o meno recettivo a livello sensoriale e psicologico, e la loro efficacia, pur variando da persona a persona, è riconosciuta. Si può, ad esempio, indossare il blu per il suo effetto calmante e rilassante, il giallo se si ha bisogno di energia, il verde per la sua azione equilibrante e di benessere generale…
La società sfrutta tutti i colori e ne fa degli opportunisti. Non esiste neppure più una morale del colore, serve come mezzo per raggiungere scopi più o meno dignitosi, sicuramente commerciali. Non conserva più la Bellezza e la ricerca di un significato profondo, di moralità buona e ambita, come abito del nostro essere spirito e corpo insieme.

L’arte rende visibile l’invisibile

Tratto dal NelFuturo.com

L’arte rende visibile l’invisibile. Paul Klee

A volte il linguaggio verbale appare limitato, mentre l’espressione artistica riesce a superare le nostre difese e le barriere sociali e morali. Ci permette di scrutare dentro lo scrigno che contiene l’anima.
Pensieri, sentimenti, esperienze, anche traumi, attraverso l’espressione artistica vengono alla luce;  facendo ricorso alla nostra fantasia riusciamo a vedere oltre la realtà contingente, aprendoci verso altri mondi possibili.
Provare a fare come Alice nel Paese delle Meraviglie, che attraverso la porticina dell’albero entra nella dimensione della tana del Bianconiglio, aggirando gli ostacoli e coraggiosamente entrare, saltando all’interno di quel magico mondo con intelligente incoscienza. 
Diventa una sorta di terapia, terapia dell’arte, che può avere varie forme: pittura, scultura, musica, teatro, danza…
In fondo basta un po’ di fantasia ed immaginazione, e attraverso l’arte verso la quale si è più predisposti, si può imparare a vivere meglio: l’arte diventa come una stella che brilla di luce tutta sua, che è bella proprio perché preziosa e unica.
Ognuno di noi ha delle potenzialità creative, si tratta di avere il coraggio di esprimerle e far diventare il nostro immaginario emotivo, in immaginario visibile e condivisibile. 
Non è difficile, è un atto che ci è connaturale.  
Pensate alla Preistoria: l’uomo ha sempre avuto la necessità di manifestare il proprio mondo interiore…
Attraverso il colore, e forme, i suoni, possiamo esprimere tutto quello che sentiamo e che non per tutti è facile esternare col linguaggio verbale.
L’arte ci permette un’espressione spontanea ed istintiva di noi stessi, che può non passare attraverso l’intelletto.
Nel fare arte ognuno di noi esprime la sua sensibilità estetica che va oltre l’espressione della bellezza puramente artistica ed estetica.
Creatività, fantasia, intuizione, percezioni sensoriali, contribuiranno a renderci capaci di esprimere quello che abbiamo in mente e ci condurranno ad esprimere, con tutto il nostro essere, la nostra esistenza : felice, infelice, gioiosa, tormentata…
Così pittura, musica, danza, teatro  diventano modi espressivi che favoriscono la conoscenza di sé stessi e delle proprie potenzialità. Impariamo ad esprimerci con fantasia, immaginazione e libertà.
In questo modo ci disponiamo ad un approccio alla vita migliore.
A questo proposito, vi ricordo come viene concepita la figura dell’artista nel Rinascimento.
Viene concepito come persona dotata di grande sensibilità e l’opera d’arte come strumento quasi terapeutico, che gli permette di esprimere una realtà fantastica che, se non espressa, l’avrebbe potuto portare alla follia. 
Visti i risultati del patrimonio artistico rinascimentale credo di poter essere convincente con la mia “speculazione” …

Nuova opera di Emanuela Silvestri

Zafferano Zafferano - 2019