Tratto da NelFuturo.com (nell'immagine: Jean Baptiste Simeon Chardin - La Brioche - 1763)
L'uso dei dolci fino all'inizio del Cinquecento era riservato quasi
esclusivamente ai ricchi e comparivano sulla tavola all'inizio, durante e
alla fine dei pranzi, per lo più seguiti da una malvasia ad alta
gradazione.
Pensate che i dolci erano quelli che gli Arabi confezionavano ed
esportavano fin dal XIII secolo, in Spagna, in Grecia, in Sicilia, in
Campania, in Liguria, in Piemonte e altrove. Erano il marzapane, i dolci
fatti con pasta di mandorle, sfogliatine farcite col miele, che ancora
oggi compaiono nelle pasticcerie sia turche che greche. Tagliolini
fritti e mielati, torrone tenero, canditi, confetture e marmellate di
frutta, biscotti e canestrelli. Questi dolci erano appannaggio delle
bocche dei signori. Anche i poveri riuscivano a cucinare dei dolciumi,
semplici ma altrettanto buoni, tramandatici da generazioni. Certo,
occhieggiavano e non erano la consuetudine.
Nel Rinascimento il pasticcere era colui che preparava i pasticci, i
paté, e si occupava di dolci solo se rimaneva del tempo, al margine del
suo lavoro. Questo fino alla fine del secolo. Poi nella cucina di un
illustre cuoco, Bartolomeo Scappi, autore di un trattato sull'arte di
cucinare, si cominciò a preparare cuochi addetti agli impasti: alle
paste. Queste paste erano per preparare pasticci salati e impasti dolci.
Ecco perché "paste" si chiamano ancora oggi i dolci confezionati nelle
pasticcerie. Esistevano dunque due arti dolciarie nel Rinascimento,
quella di chi produceva le cialde, e l'arte dei confettieri, dolciumi
mediterranei e arabi. Furono gli Arabi ad inventare prodotti che si
potevano facilmente trasportare e potevano durare nel tempo, proprio
facendo largo uso di zucchero, che oltre a dolcificare, conservava.
Tomaso Garzoni, nel suo libro Piazza universale di tutte le
professioni del mondo, del 1585, dedica ampio spazio ai cuochi e cita i
produttori di dolci da forno, dei cialdai... I cuochi scrittori erano
persone al servizio di signori, nobili, cardinali. Lavoravano nelle loro
cucine e raccoglievano tutti i segreti: per questo il loro sapere
risulta essere attendibile. Sappiamo che esistevano anche cuochi che
rivendevano cibi cotti nelle loro botteghe o nelle taverne, non solo
nelle case nobiliari e ricche. Così potevano arrivare anche sulle tavole
dei meno abbienti. Il Natale, la Quaresima, la Pasqua, il battesimo, la
festa del santo Patrono ed il carnevale sono avvenimenti che accadono
durante l'anno e, per tradizione, vengono festeggiati con un dolce,
preparato persino dalle monache, che giustifica un veniale peccato di
gola.
Nei menù rinascimentali si rintracciano anche interessanti
annotazioni su come si doveva preparare la tavola. Doveva essere ornata
con rami, foglie e fiori, sulla tovaglia si spargevano mandorle, semi di
finocchio e confetti. Sì, i confetti che ancora commemorano le nostre
feste.
Insomma, poco burro, poco zucchero, farina e qualche mandorla, ed
ecco pronti i democratici amaretti. Tutti ingredienti non costosi,
considerando che lo zucchero si poteva sostituire con il miele. Alimento
ancor più democratico perché chiunque lo poteva produrre, sfruttando
gli alberi o i prati, a quei tempi ancora così profumati e abbondanti.
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